josephine foster
questa sera al bronson.
ingresso 10 (8 ridotto per gli iscritti alla mailing list).
porte h21,30
selezioni a cura di manser e fogli
special guest: victor herrero
questa sera al bronson.
ingresso 10 (8 ridotto per gli iscritti alla mailing list).
porte h21,30
selezioni a cura di manser e fogli
special guest: victor herrero
Cantautrice, musicista e multistrumentista, Josephine Foster ha elaborato nel corso degli anni
una pratica musicale votata alla progressiva eliminazione dei confini che separano la musica colta dalla tradizione popolare. Rivisitando lieder e arie classiche con arrangiamenti e strumentazioni mutuati, di volta in volta, dal jazz delle origini, al blues acustico, dall’acid-folk o dal cerimoniale degli indiani Appalachi, la Foster ha adattato il suo soprano spettrale, e il suo picking scarno ed evocativo, alla maniera freak in auge negli anni 2000.
Le sue performance, richiamandosi in parte il nuovo teatro americano degli anni 60 e all’“azione concertata” di John Cage, sono talvolta ambientate in luoghi naturali, o non musicali (piazze, strade, luoghi di culto) e mirano all’abolizione dei ruoli prestabiliti fra palco e platea, invitando, laddove possibile, gli spettatori a partecipare direttamente all’evento, suonando quello che hanno a disposizione e creando buffe versioni in progress delle sue canzoni. La musica di Josephine Foster ha un che di occulto e trasumanante, di austero e carezzevole.
Il suo approccio al folk psichedelico è ubiquo, caleidoscopico, minimalista, insieme semplice e intricato. La voce prima di tutto: la sua tecnica chitarristica e compositiva sembra lo strascico del vestito di una sposa fantasma, a cui le canzoni rimangono impigliate, serpeggiando qua e là in preda a uno strano potere mesmerico.
una pratica musicale votata alla progressiva eliminazione dei confini che separano la musica colta dalla tradizione popolare. Rivisitando lieder e arie classiche con arrangiamenti e strumentazioni mutuati, di volta in volta, dal jazz delle origini, al blues acustico, dall’acid-folk o dal cerimoniale degli indiani Appalachi, la Foster ha adattato il suo soprano spettrale, e il suo picking scarno ed evocativo, alla maniera freak in auge negli anni 2000.
Le sue performance, richiamandosi in parte il nuovo teatro americano degli anni 60 e all’“azione concertata” di John Cage, sono talvolta ambientate in luoghi naturali, o non musicali (piazze, strade, luoghi di culto) e mirano all’abolizione dei ruoli prestabiliti fra palco e platea, invitando, laddove possibile, gli spettatori a partecipare direttamente all’evento, suonando quello che hanno a disposizione e creando buffe versioni in progress delle sue canzoni. La musica di Josephine Foster ha un che di occulto e trasumanante, di austero e carezzevole.
Il suo approccio al folk psichedelico è ubiquo, caleidoscopico, minimalista, insieme semplice e intricato. La voce prima di tutto: la sua tecnica chitarristica e compositiva sembra lo strascico del vestito di una sposa fantasma, a cui le canzoni rimangono impigliate, serpeggiando qua e là in preda a uno strano potere mesmerico.
2 commenti:
Primo! W Giuseppina!
josephine parla con i fantasmi. ho detto tutto ?!
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